1992-2022. Sono trascorsi trent'anni dalla strage di Capaci nella quale persero la vita Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Quel crimine - insieme all'uccisione di Paolo Borsellino, avvenuta meno di due mesi dopo - rappresentò una cesura storica destinata a imprimersi in modo indelebile nella memoria collettiva di un Paese e obbligò uomini e donne a una presa di coscienza nei confronti della lotta alla mafia. Bisognava dire «basta», perché da quel momento Cosa nostra sarebbe diventata una «cosa» di tutti, nessuno escluso. Negli anni a seguire, la figura di Giovanni Falcone è stata più volte celebrata in occasione di anniversari che hanno contribuito a tenerne vivo il ricordo e a consegnarlo alle nuove generazioni. Con intenti sempre nobili, ma con esiti spesso discutibili, ammantati di cliché e messaggi privi di sostanza. E dunque, al di là del semplice esercizio della memoria, ci sono alcune domande che dovremmo porci per dare senso al tempo e permettere all'esperienza passata di rivivere attivamente nel presente: che cosa resta oggi dell'insegnamento di Giovanni Falcone? In quale modo il suo esempio, il suo «metodo» e la sua idea di Antimafia possono trovare applicazione nel contesto attuale della lotta al crimine organizzato? Marcelle Padovani - che nel corso della sua carriera giornalistica conobbe e lavorò con Giovanni Falcone - tenta in queste pagine di «attualizzare» il pensiero del grande magistrato e di comprendere l'influenza esercitata dalla sua eredità. Tessendo ricordi, aneddoti e colloqui con alcuni uomini di giustizia, l'autrice riesce a intrecciare passato, presente e futuro, a «celebrare l'Antimafia di oggi senza dimenticare di rendere omaggio a quella del passato». Il risultato è un libro che va oltre le facili celebrazioni e che ha il merito di fare «il punto sull'acquisito, l'immutabile, il positivo» della giustizia. Sempre in compagnia di Giovanni Falcone. Del suo ricordo, ma anche del